CORSERA: “Come hanno speso le società i soldi delle tv?”

CORSERA: “Come hanno speso le società i soldi delle tv?”

5.060 milioni di euro incassati (per i diritti criptati, venduti soggettiva­mente più 849 milioni per i diritti in chiaro, ceduti in forma collettiva, in tutto 5.909 milioni di euro), per un debito vicino ai 2.000 milioni: sono le cifre che emergono da una inchiesta pubblicata oggi sulCorriere della Seraa dieci anni dalla “telerivoluzione del calcio”, ovvero – sostiene il quotidiano – quanto una delle più grandi novità del mondo del pallone che “avrebbe dovuto produrre ricchezza, si è trasformata in un manifesto dello spreco”. Nel 1999 – ricorda ilCorriere- i diritti tv criptati (quelli visibili attraverso i decoder) diventarono soggettivi, sulla spinta del­l’allorapresidente della Roma Fran­co Sensi, che si era battuto perché la vendita centralizzata riguardasse so­lo i diritti in chiaro (quelli della trasmissione “90′ mi­nuto”, della Coppa Italia e poco altro). Dal­ primo luglio 2010 i diritti tv torneranno a essere collettivi, in base a quanto previsto dalla legge Melandri, approvata nella primavera 2007: la Lega delle società di serie A e B ha affidato la vendita di tutti i diritti (in chiaro e criptati) a un advisor, Infront, che ha promesso un minimo garantito di 900 milioni di euro all’anno per due anni (fino al 2012). Dalla sintesi del match più interessante della giornata di Serie A trasmesso sulla Rai, la Lega era riuscita a vendere su base triennale i diritti dei campionati nel 1990 per 324 miliardi di lire, dal 1993 (e per altri tre anni), ai 423 miliardi e 109 milioni di lire per idiritti in chiaro alla Rai si era aggiunto il contratto con Telepiù per l’anticipo di B al sabato e il posti­cipo di A alla domenica per 148.409.740.000 lire.Nell’ultimo tri­ennio di cessione collettiva (1996-99), le 38 società erano riuscite a portare a casa 1.198 miliardi di lire, fra diritti in chiaro (Rai) e criptati, con la nasci­ta di Telecalcio (minimo garantito di 270 miliardi), cioè la prima possibili­tà di vedere con il decoder la partita di una squadra in diretta. La svolta del passaggio ai diritti individuali – prosegue la ricostruzione del Corriere – ha portato a una diseguaglianza fra club, apparsa subito evidente: Juventus, Milan e Inter avevano trovato l’inte­sa con un anno di anticipo (luglio 1998), prendendo tutti in contropiede e suscitando subito l’ira degli altri club, al punto che era nata persino una piattaforma alternativa, Stream, prima che tutto confluisse in Sky. Nel campionato 2007-2008 la Juve si ritrovò ad incassare 92 milioni, l’Inter 87, il Milan 84, ma l’Atalanta solo 14, l’Empoli 12 e il Siena 11. Al termine della ricostruzione, il Corriere cerca poi di capire “come so­no stati utilizzati questi soldi dalle so­cietà”. La prima risposta è altrettanto semplice: nel peggior modo che si potesse immaginare, sostiene il Corriere.Nessuna socie­tà, con l’unica eccezione della Juve (dal 2008), ha pensato di destinare parte di questi ricavi alla costruzione di uno stadio di proprietà. L’improv­visa ricchezza ha prodotto invece una scarsissima differenziazione del­le entrate, al punto che i diritti tv hanno finito per diventare la più im­portante fonte di ricchezza e hanno ridotto l’attenzione per altri possibili cespiti di ricavo (lo sviluppo del mer­chandising, l’impegno contro la con­traffazione dei marchi, l’aumento del­le presenze negli stadi, dove si sono persi continuamento spettatori). La diretta conseguenze dell’ipotetico te­le-benessere ha viceversa prodotto una lievitazione dei costi con società in crisi, bilanci in rosso fuoco, neces­sità di un ridimensionamento, richie­sta al Parlamento di intervenire per una riduzione delle imposte fiscali. A partire dal 1999, si è poi scatenata una cor­sa all’acquisto al rialzo dei giocatori, soprattutto quelli stranieri (molti mi­steriosi), anche per motivi non sem­pre comprensibili, a un allargamen­to sconsiderato delle rose e a una lie­vitazione degli ingaggi dei giocatori. I quali, a loro volta, hanno fatto a ga­ra ad alzare il livello delle richieste economiche, con la benedizione del sindacato. Si è assistito, negli anni, a ripetute richieste di ritocchi di ingag­gio, anche in una sola stagione. E i soldi degli stipendi in Serie A sono stati distribuiti a piog­gia, offrendo ingaggi fuori mercato non soltanto ai migliori, ma anche al­la fascia mediana dei giocatori: strap­pare un contratto triennale ha signifi­cato (e continua a significare) poter vivere di rendita per due o tre genera­zioni. È sempre mancata una strate­gia chiara – sostiene l’inchiesta delCorriere della Sera- e si è andati avanti con pro­clami isolati ed estemporanei. La Serie B, da questo punto di vi­sta, ha rappresentato un esempio an­cor meno virtuoso di quello della A. Abituata a essere sovvenzionata dai club della serie maggiore, attraverso la cosiddetta mutualità derivante dal­la vendita dei diritti in chiaro, la B si è abituata a spendere molto più di quanto incassato. Non solo, ma si è arrivati al punto che alcune società sono andate a strappare giocatori ai giocatori dei club di A, che versava­no soldi per consentire alla serie B di sopravvivere. Oggi – conclude ilCorriere- il piano di ridimensionamen­to ha prodotto una consistente ridu­zione dei costi, anche attraverso una revisione dei contratti in corso (le co­siddette spalmature su più anni), ma, senza i soldi della mutualità, i club di B continuano a spendere tre volte quello che incassano. Clamoro­so quanto accaduto nell’estate 2006: grazie alla presenza di Juve, Napoli e Genoa, la Serie B si era trovata nella condizione di strappare un contratto tv quanto mai vantaggioso, ma inve­ce di puntare su un accordo plurien­nale, ha optato per un’intesa di un anno. Conseguenza: per tutto il 2007-2008, senza Juve, Napoli e Ge­noa, promosse in A, la B ha vissuto senza un vero contratto tv. E i debiti delle società aumentano.